L’etica della pubblicità: dove tracciare la linea di confine?
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La comunicazione pubblicitaria spesso affronta contesti e situazioni che appartengono alla nostra quotidianità e proprio per questo tante campagne ci costringono a confrontarci con una serie di domande complesse e, spiegare cosa significhi la parola “etica”, in un contesto così ampio e multiforme, non è sempre facile. Come del resto ancora meno il poter tracciare le linee di confine tra ciò che è moralmente accettabile e ciò che non lo è. L’etica, un concetto tanto antico quanto l’umanità stessa, assume, infatti, un nuovo significato, quando applicato al mondo della pubblicità, fornendo essa stessa quegli strumenti che aiutano noi tutti, in qualità di spettatori, testimoni di una comunicazione autentica, trasparente e rispettosa del consumatore, che non manipola, non inganna o non travisa la realtà. E non che non ci stiamo riferendo solo alle pratiche pubblicitarie che rispettano le normative vigenti, ma piuttosto parliamo del lavoro di tante agenzie di comunicazione che del proprio lavoro hanno fatto una scelta consapevole e portatrice di principi di correttezza e integrità.
Tuttavia parlare di “etica pubblicitaria” propone parecchi punti di vista le cui sfaccettature possono facilmente scivolare lungo quei sottili confini che rischiano di confondere “persuasione” e “manipolazione” e sollevano questioni etiche, per l’appunto, che inducono a chiedersi quale sia il giusto equilibrio e l’adeguato bilanciamento tra l’esigenza di una comunicazione efficace ed eticamente responsabile con un marketing rispettoso dei diritti del consumatore. In tale prospettiva le agenzie pubblicitarie hanno la grande responsabilità di guidare la comunicazione delle aziende verso contenuti sì efficaci, ma profondamente rispettosi, opportunità indubbiamente per innovare e sperimentare nuove coordinate di pubblicità all’interno di un contesto profondamente valorizzante sia per il brand e sia per il consumatore.
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Capire l’etica pubblicitaria: oltre il bene e il male
Comprendere appieno l’etica pubblicitaria richiede di andare oltre una semplice definizione: richiede di addentrarsi nelle profondità di un territorio complesso, in cui la linea tra il bene e il male è spesso sfumata e mutevole. Come abbiamo prima anticipato uno degli aspetti portanti più critici e delicati riguarda la tensione tra persuasione e manipolazione. La pubblicità, nella sua essenza, è per certi versi nota a molti come un’arte della “persuasione”: Probabilmente è esistito un tempo in cui “persuadere” era un termine più vicino al concetto di “manipolare”. In quello stesso tempo le aziende cercavano di “strappare un consenso” influenzando le decisioni d’acquisto attraverso una visione parecchio centralizzata sul prodotto o sul servizio, lasciando, in effetti, poco margine di coinvolgimento al fruitore di un messaggio.
Oggi il ruolo della comunicazione pubblicitaria invece è assolutamente inclusivo e il destinatario di un messaggio diventa non “il consumatore”, piuttosto il protagonista di una campagna o di uno spot, all’interno dei quali si narra una storia, proprio quella del “personaggio” in cui identificarsi, perché incarna le esigenze e le necessità del target e per il quale “quel prodotto” o “quel servizio” diventa importante a garantire uno stato di felicità o benessere.
Oggi il dialogo pubblicitario è assolutamente bidirezionale e non si parla di “influenzare” una decisione d’acquisto, piuttosto quella di proporre una soluzione che traduce concretamente desideri ed emozioni. Questa considerazione allontana del tutto definitivamente l’annosa diatriba e crea una totale distanza tra una “persuasione legittima” e una “manipolazione ingiusta”.
Un’altra questione critica riguarda la trasparenza e l’onestà. Entrano in gioco in questo complesso concetto le fake news e la disinformazione da un lato, e la veridicità e l’autenticità dei messaggi pubblicitari dall’altro lato. Tuttavia la realtà della pubblicità è spesso più complessa, con messaggi che, pur non essendo tecnicamente falsi, possono ingannare o fuorviare i consumatori. Questa situazione pone un ulteriore dilemma etico: come garantire che la pubblicità rispetti il principio della verità, senza scadere in pratiche ingannevoli o fuorvianti? Un’ulteriore dinamica nell’arena del confronto è poi la questione della responsabilità sociale, verso il quale le aziende hanno oggi un ruolo significativo nel dare una forma alla cultura e ai valori della nostra società attraverso i contenuti proposti fortemente impattanti, in quanto in grado di farsi volano di trasformazioni. Questo vuol dire, in termini più esplicativi, che le aziende non possono non vedere e non considerare nei propri messaggi temi come la diversità, o meglio detto, la specificità individuale, l’inclusione e la sostenibilità ambientale, perché punti di contatto e di scambio tra persone e situazioni di non indifferente portata e di vasto respiro. E se la pubblicità deve essere specchio in cui la società si rifletta e si riconosca, comprendiamo ancora più a fondo come “etico” diventa il bisogno di affrontare queste tematiche piuttosto che lasciarle fuori da un ecosistema pubblicitario che sa ormai farsi portatore di unanimità.
Pubblicità e società per un ecosistema simbolico di interazioni
Queste riflessioni ci traghettano verso una nuova definizione di ecosistema pubblicitario, non più solo una modalità per presentare e proporre prodotti o servizi, ma mezzi potentemente evocativi e simbolici, che trasferendo messaggi tanto intensi quanto attuali, sono in grado di “plasmare” la società, offrendo lenti per mettere a fuoco e condividere argomenti di interesse comune. E così, in un interminabile viaggio attraverso vari canali, dai media tradizionali alle piattaforme digitali, la comunicazione pubblicitaria di un brand giunge fino a noi, trasmettendo messaggi e costruendo narrazioni che intervengono fornendo strategie visive e maniere attraverso cui vedere noi stessi, gli altri e il mondo che ci circonda.
Proprio per questo la “réclame” scardina i confini dello spazio e del tempo per vestire i panni di una comunicazione in grado di agire da potente agente di cambiamento sociale, stimolando il dibattito pubblico, facendosi promotrice di cambiamento e incoraggiare comportamenti e attitudini più inclusive e sostenibili. Ci si interroga quindi fino a che punto questa influenza sia “naturale”, spontanea ed eticamente accettabile, e queste considerazioni aprono un volano di domande, richiedendo attenzione e continuo dialogo tra tutti gli attori coinvolti. Però, al centro di tutta questa discussione, c’è un’idea semplice ma fondamentale: la pubblicità, nel suo ruolo di ponte tra il mondo commerciale e il mondo sociale, ha una profonda responsabilità etica nel rispettare e fare rispettare i diritti e la dignità dei consumatori e, di promuovere valori positivi.
L’etica della pubblicità e le regole del gioco
Se allora la pubblicità è un “dialogo libero”, esattamente chi sancisce i limiti e i confini di questi contenuti?
È bene precisare che le forme della comunicazione e chiaramente i contenuti veicolati non sono affatto frutto di scelte arbitrarie, ma “la creatività” passa anche attraverso “obblighi e necessità” rese legittime dalle leggi e dai codici in materia pubblicitaria, e tramite cui si delineano i diritti e i doveri dei vari attori coinvolti: agenzie pubblicitarie, aziende, media e, naturalmente, consumatori. Non basta però dire di rispettare la legge per dire di agire in modo etico, semmai è necessario andare oltre, abbracciando una prospettiva più ampia e tenendo conto dell’impatto delle proprie azioni sulla società e sulle persone.
Questo significa considerare non solo la legalità, ma anche la correttezza, l’onestà e l’equità delle proprie pratiche pubblicitarie. Significa mettere al centro del proprio operato il rispetto, l’integrità e la dignità delle persone. Le leggi non sono statiche, ma evolvono nel tempo, rispondendo ai cambiamenti sociali, culturali e tecnologici e, a ben vedere, proprio i nuovi scenari offerti dall’era digitale, ad esempio, hanno sollevato nuove questioni etiche e hanno richiesto l’aggiornamento delle regole esistenti. Così come, del resto, anche l’aumento della consapevolezza sociale ha portato a una revisione critica delle pratiche pubblicitarie e a un rafforzamento dei principi etici.
Resta pertanto fondamentale, lo ribadiamo, il ruolo delle agenzie pubblicitarie e delle aziende, perché hanno la responsabilità non solo di rispettare chiaramente le regole, ma soprattutto di contribuire attivamente alla loro ridefinizione, attraverso un costante e sincero impegno verso la ricerca di nuovi paradigmi etici. La pubblicità “dona la voce” alle aziende, permettendo loro di narrare storie che vanno oltre il “semplice” rispetto delle leggi, fino a toccare aspetti che sottendono a valori da condividere, principi da incarnare, responsabilità da assumere. Tutto questo diventa dunque un impegno ed un atteggiamento nei confronti di nuove prospettive per una relazione più equa tra aziende e persone, in cui “il successo” non si misura solo in termini di profitto, ma piuttosto di contributo verso il bene comune, apertura al dialogo e alla comprensione reciproca e capacità di connessione tra cuori.