Price strategy: come il prezzo percepito influenza il valore attribuito a un prodotto

“Troppo caro”… o “troppo economico”: queste sono generalmente le prime reazioni che molti consumatori esprimono di fronte a un prodotto. Eppure questa percezione iniziale spesso maschera una verità più profonda: il prezzo non è soltanto una cifra impressa sull’etichetta, ma una dichiarazione di valore, qualità e posizionamento strategico del bene e del marchio che sta dietro.
Quel “troppo caro” diventa dunque una questione di prospettiva, di narrazione, di esperienza. Ma come mai un prezzo apparentemente elevato può risultare così attraente per determinati target?
Per questo la price strategy assume un ruolo cruciale nella definizione del valore percepito di un prodotto e ne conosce bene le potenzialità quella agenzia di comunicazione che la inserisce tra le attività di strategic branding per i propri Clienti. Lungi dall’essere una semplice questione di costi e margini, il prezzo di un prodotto influisce direttamente su come i consumatori ne valutano qualità e desiderabilità, infatti quando si parla di strategia di prezzo, si fa riferimento a una serie di decisioni complesse che coinvolgono non solo aspetti quantitativi, ma anche elementi psicologici sviluppati nei confronti di un prodotto o servizio. E vediamo allora quali.

L’importanza della psicologia del prezzo

Il prezzo non è mai neutro: ogni prezzo comunica qualcosa, sia esso legato all’esclusività, all’accessibilità o alla competitività di un marchio, ed è necessaria una attenta lettura del target per comprendere fino in fondo il valore simbolico, e psicologico, attribuito ad un prodotto attraverso questo filtro del pricing.
Le decisioni di pricing devono essere coerenti chiaramente con la storia che il brand racconta e con le aspettative dei consumatori e proprio a questi ultimi che si deve rivolgere la pricing strategy, poiché gli acquisti non solo mai azioni puramente commerciali, ma riflesso di un significato che il consumatore trasferisce sul prodotto.
Le scelte relative alla pricing strategies devono quindi tenere conto di numerosi fattori, dai costi di produzione alla percezione del mercato, dall’analisi della concorrenza fino alle dinamiche psicologiche che influenzano il comportamento d’acquisto.
Comprendere come il prezzo sia percepito non solo come un dato numerico, ma come un elemento simbolico e comunicativo, permette alle aziende di intervenire proattivamente sulle decisioni di acquisto in maniera efficace, etica e consapevole. Il consumatore, infatti, non valuta il prezzo in termini assoluti, bensì in relazione a una serie di elementi spesso semantici e simbolici. Un prezzo elevato, ad esempio, viene spesso interpretato come sinonimo di prestigio o di superiorità tecnica, mentre un prezzo troppo basso può suscitare dubbi sulla qualità effettiva.
Questo fenomeno si basa su un meccanismo cognitivo noto come euristica del prezzo, attraverso il quale il consumatore attribuisce automaticamente maggiore valore a ciò che ha un costo più alto.
La psicologia del prezzo sfrutta proprio questi processi mentali per modellare la percezione del prodotto, rendendolo più desiderabile o meno, più accessibile. In questo quadro, l’effetto del prezzo di riferimento gioca un ruolo determinante: le persone tendono cioè a valutare un prezzo sulla base di confronti impliciti o espliciti con altri prezzi che hanno già visto o con cui hanno familiarità, e se un prodotto viene presentato inizialmente a un prezzo molto elevato, ma successivamente scontato, il consumatore percepirà il nuovo prezzo come un affare.

Questa tecnica è largamente utilizzata nella grande distribuzione, dove i prezzi a termine e gli sconti diventano leve psicologiche potentissime per stimolare l’acquisto, specie se impulsivo. In questo caso l’idea di risparmiare risveglia una sensazione di guadagno emotivo e razionale. Quando un acquirente si trova di fronte a un prodotto che era precedentemente fuori dalla sua portata economica, la possibilità di ottenere quell’oggetto a un prezzo più accessibile modifica la sua valutazione iniziale, spingendolo a percepire il prodotto come improvvisamente più appetibile. Pensiamo ai periodi dei saldi o alle promozioni speciali.
Al contrario “l’abitudine” ad un prezzo elevato, come accade generalmente nel caso dei beni di lusso o nel settore dell’automotive e della tecnologia, porta invece ad attribuire un posizionamento di marca che spesso si sovrappone al concetto di elitarismo ed esclusività. Sono molte le persone che “giustificano” un costo importante dietro alla soddisfazione di stimoli emotivi. E la psicologia del prezzo tiene conto di questi asset e si basa dunque proprio su emozioni, associazioni e confronti, per orientare il comportamento del consumatore in direzione chiaramente favorevole al brand. Ma vediamo meglio come la mente umana funziona davanti ad una etichetta.

Le percezioni secondo il neuromarketing

Passeggiare tra i negozi in un grande centro commerciale, o anche per le vie di una città come Milano, è una attività che ci espone ad una molteplicità di stimoli, molti dei quali visivi. Ma nel momento in cui il cervello umano viene esposto a un prezzo, magari sbirciato tra una vetrina e l’altra, il processo che si attiva è molto più complesso di una “semplice valutazione numerica”. E il neuromarketing spiega il perché.
Le informazioni sul prezzo sono elaborate in maniera profonda e stratificata, coinvolgendo non solo le aree del cervello responsabili del calcolo e del confronto, ma anche quelle legate alle emozioni e alla percezione soggettiva del valore. Quando un individuo osserva un prezzo, il cervello attiva un meccanismo che cerca immediatamente di attribuire un significato a quel numero, collegandolo quasi sempre a esperienze precedenti, ma anche ad aspettative e contesto. Questa elaborazione non è solo razionale, ma è fortemente influenzata da stimoli emotivi e cognitivi. Questo fenomeno si chiama effetto ancoraggio ed è uno dei più potenti nel neuromarketing. Proprio come effetto di una ancora si “resta ancorati” ad un prezzo iniziale che funziona da riferimento iniziale.
Il prezzo ancorato continua a influenzare la percezione del valore, anche quando si vede lo stesso prodotto con una modifica sostanziale, in eccesso o in difetto. Questo spiega anche il perché talvolta possano fallire strategie di offerta o promozione, nonostante siano vantaggiose, ma la loro adesione da parte del consumatore dipende proprio da questi freni cognitivi.

Un altro fattore che incide sulla percezione del prezzo è l’uso dei numeri rotondi o frazionati. Il neuromarketing ha dimostrato che i numeri rotondi come 100 o 1.000 vengono elaborati dal cervello come indicazioni di stabilità ma anche qualità più elevata, mentre i numeri frazionati, come 99,99 creano l’illusione di convenienza o di un prezzo ridotto.
L’effetto ottico di un numero non intero richiama l’idea di una presunta riduzione di prezzo, anche quando la differenza reale è minima, creando una “soglia psicologica” che fa apparire il prodotto più economico di quanto non sia realmente.
E sempre al neuromarketing dobbiamo la spiegazione sul fatto che gli acquisti sono atti emozionali. Sono cioè le emozioni giocano un ruolo altrettanto fondamentale in questo processo. Il prezzo non è mai valutato in maniera neutra ma è un contenitore in cui fluiscono reazioni emotive, esperienze personali, aspirazioni, desideri, ambizioni e contesto sociale.
Comprendere come il cervello umano possa spiegare e processare il prezzo e quali fattori lo influenzano consente di sviluppare strategie di pricing più mirate, capaci di dialogare sia con la razionalità sia con le emozioni del consumatore.
Un elemento che però non è di poco conto è l’etica delle aziende che non possono né devono strumentalizzare il prezzo per forzare un acquisto e influenzare in modalità manipolatoria il consumatore verso il quale va adottato un atteggiamento assolutamente rispettoso e trasparente. Le strategie di pricing devono tener conto anche dell’emotività del consumatore, senza svilirla ma offrendo prezzi reali come riflesso delle qualità (oggettive e soggettive) del prodotto e del suo marchio. Brand come Chanel, Rolex o Hermès utilizzano di fatto prezzi elevati non solo per riflettere la qualità dei materiali e la maestria artigianale, ma anche per comunicare esclusività e prestigio: il consumatore che li acquista non sta semplicemente comprando un oggetto, ma sta investendo in un simbolo di appartenenza a una cerchia privilegiata. In questo contesto, il prezzo agisce come un filtro sociale, diventa una dichiarazione di status.
Brand come Apple, ad esempio, hanno saputo sfruttare una strategia di prezzo premium per creare una percezione di alta qualità e innovazione costante. In questo caso il prezzo diventa una promessa di performance elevate, durata e supporto post-vendita. Nel retail, esempi come Zara o H&M hanno costruito il loro successo su una strategia di fast fashion, in cui il prezzo accessibile e le collezioni sempre rinnovate incentivano l’acquisto frequente e impulsivo. Qui il prezzo non è percepito come un indicatore di qualità, ma come vantaggio competitivo che permette ai consumatori di rimanere alla moda senza dover investire somme considerevoli. 


Troppo o troppo poco? Tiriamo le somme

Da quanto abbiamo avuto modo di affrontare fino a qua, il “troppo caro” o il “troppo economico” sono espressioni assolutamente relative e che vanno contestualizzate come strategie di comunicazione, in grado di trasferire un messaggio, la narrativa di un marchio con tutti i suoi valori e il suo posizionamento che no è solo fisico, ma risiede spesso nell’immaginario collettivo di un pubblico.
Che si tratti di lusso, tecnologia, retail o di servizi, la strategia di prezzo deve essere attentamente calibrata per riflettere non solo i costi e i margini, ma anche la percezione del valore che si vuole trasmettere. I brand che riescono a utilizzare il prezzo come parte integrante della loro identità di marca ottengono non solo vendite, ma anche fedeltà e desiderabilità nel lungo termine. Per questo affidarsi ad un partner di comunicazione come un’agenzia specializzata nel price strategy può aiutare a posizionare un brand in modo mirato, orientando le decisioni dei consumatori non solo in base al costo, ma sulla base di una complessa rete di associazioni psicologiche che determinano come il prezzo verrà interpretato. Prezzo che, ricordiamo, non è “solo” quel numero che si legge su di una etichetta, ma semmai il punto di contatto tra le aspettative delle persone e la fiducia e la desiderabilità sperimentate nei confronti del brand.

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